17 Giu Linux lo fanno i professionisti
In molti pensano che Linux sia sviluppato sopratuttto da programmatori indipendenti, volontari che contribuiscono al kernel nel proprio tempo libero a titolo gratuito. Ma non è così: la maggior parte del lavoro infatti è svolta da sviluppatori in forza a grandi aziende come Red Hat, Intel, Texas Instruments e altre.
Questo raccontano i dati del più recente rapporto pubblicato dalla Linux Foundation, secondo cui comunque il lavoro volontario rappresenta un ammirevole 13,6%, in calo di un punto percentuale rispetto all’edizione precedente del report annuale. Comunque Red Hat, la prima delle aziende, presa da sola si ferma al 10,2%.
Il contributo più sostanzioso proviene prevedibilmente da Red Hat, il più fulgido esempio di successo commerciale in ambito open source. Dietro a lei crescono Samsung, Texas Instrumes e Linaro, mentre brilla per la sua assenza (tra i primi) Canonical – società che evidentemente dedica i propri sforzi più a Ubuntu che al kernel Linux.
Oltre alla stesura del codice il report della Linux Foundation prende anche in considerazione la convalida (signing) dello stesso. Red Hat gioca ancora la parte del leone, seguita dalla Linux Foundation, Intel, Google e poi sviluppatori indipendenti. Sebastian Anthony di ExtremeTech fa notare che Linus Torvalds, il creatore di Linux, non si occupa più molto di quest’ultima attività (568 patch, lo 0,7%), e ha delegato la maggior parte del lavoro a persone pagate per farlo.
Linux lo fanno i professionisti.
I dati del report, infine, prendono in considerazione il kernel Linux fino alla versione 3.10 (quella attuale è la 3.13); nel passaggio dalla 3.0 sono state aggiunte oltre 2,3 milioni di linee di codice portando il totale a circa 17 milioni. Un bel salto rispetto alle 10.000 linee di cui era composta la prima versione, pubblicata nel 1991. Quando s’installa Linux su un computer tuttavia si usano solo le linee effettivamente necessarie per l’hardware presente, il che rende Linux più leggero di quanto si potrebbe pensare.
Per qualcuno forse questa notizia significa la fine di un sogno romantico, quello di un kernel e di un sistema operativo realizzato solo da persone che lavorano gratis, ma prima o poi un bagno di realtà è necessario. Le società citate hanno un interesse diretto in Linux e nei possibili profitti (diretti e indiretti) che ne possono derivare, ed è anche (soprattutto) il profitto il vero motore che ha permesso a Linux di diventare ciò che è oggi.
È un equivoco nel quale ancora oggi cadono in molti, ma il concetto di libero e open source non è mai stato in contrasto con il profitto, sin dai primi giorni in cui Richard Stallman maturava la propria visione. I dati pubblicati dalla Linux Foundation non fanno che dimostrarlo.
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